sabato, Luglio 27, 2024
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Rotonda spostata Rotonda salvata. Una battaglia urbanistica di Antonio Corbara

Antonio Corbara e una battaglia urbanistica nella Faenza degli Anni Cinquanta

Premessa di Claudio CasadioUn massacro edilizio (La voce repubblicana, novembre 1952)Italia Nostra, Vita dalle sezioni (Gennaio-febbraio 1958)La legge, l'arte e i funzionari (il Borghese, 9 ottobre 1958)Interpellanza parlamentare dell'On. Filippo Anfuso al Ministro della Pubblica Istruzione (2 ottobre 1958)Intervento dell'On. Filippo Anfuso nel dibattito parlamentare sul Disegno di Legge per la spesa del Ministero della Pubblica Istruzione (16 giugno 1959)
Piazza due giugno è oggi un parcheggio molto usato e un vuoto urbanistico. I bombardamenti della seconda guerra mondiale e le scelte operate nel periodo della ricostruzione hanno portato alla completa demolizione dei Palazzi Ghetti e Rossi costruiti lungo corso Mazzini tra la fine del Settecento e i primi decenni dell’Ottocento. E la scomparsa di Palazzo Rossi, di proprietà dei marchesi Spada fino verso la meta del XIX secolo poi passato per compravendita ai Rossi di Biancanigo, venne giudicata da Ennio Golfieri come “una delle più gravi e irreparabili perdite del patrimonio monumentale faentino”. A rendere grave quella perdita, causata dalla “parziale rovina dovuta ai bombardamenti dell’ultimo conflitto, resa poi completa e definitiva per insipienza e malafede di uomini” era non solo “il valore architettonico della fronte sul corso, ma ancora più quel gioiello di scaloncino, risolto con sapienza scenografica e grandiosità principesca in piccolo spazio, tutto impreziosito com’era dalla decorazione plastica (ornati e statue) che il binomio Pistocchi-Trentanove vi aveva profuso”. (E.GOLFIERI,L’arte a Faenza dal neoclassicismo ai nostri giorni. Parte prima, Faenza, 1967, pag. 30). Sul fondo della piazza due Giugno sono rimasti i prospetti sui cortili dei due palazzi. Il primo è creazione di Pietro Tomba ed il secondo, quello a sinistra, è una realizzazione di Giuseppe Pistocchi, databile al 1780, “con la loggia a colonne che ha le nicchie di fondo ornate da quattro delle più belle statue eseguite dal Trentanove a Faenza”. (E:GOLFIERI, Ivi, pag. 36). Ultima costruzione collegata a Palazzo Rossi è poi la Rotonda realizzata, probabilmente da un allievo di Tomba, Costantino Galli, nella prima metà dell’Ottocento. L’edificio, costruito in seguito all’acquisizione alle proprietà del palazzo dei terreni dell’orto di San Domenico, venne utilizzato come ghiacciaia e belvedere. La Rotonda Rossi rischiò di essere completamente demolita dopo la seconda guerra mondiale. Solo attente iniziative di Antonio Corbara, che riuscì anche a coinvolgere uomini come Mario Praz, ne impedirono la distruzione. Nella sua battaglia, continuata per tutti gli anni cinquanta, Antonio Corbara scrisse e stimolò molti interventi che, anche grazie ai continui suggerimenti e stimoli di Muky Matteucci, è sembrato utile ripubblicare. Con queste pagine non solo si documenta una battaglia che ha permesso di salvaguardare parte di un patrimonio culturale e architettonico cittadino, ma si offre ulteriore materiale da cui – ancora una volta – emerge il grande valore delle attività e iniziative culturali svolte da Antonio Corbara.
E’ noto a pochi in Italia che Faenza possiede le testimonianze di uno dei più completi e bei capitoli dell’arte neoclassica. Architetti, pittori, plasticatori, decoratori, incisori, mobilieri diedero impulso a un movimento locale che rinnovò sontuosamente molti palazzi, e qui fece centro di una attività giunta lontano e protratta nei suoi riflessi, fino alla seconda metà del secolo. Il nome del pittore piemontese Felice Giani, detto il Faentino, di recente riesumato e rimesso in vista, è quello di uno dei più vivaci artisti italiani dell’età napoleonica, pieno di fuoco che da classico trascolora in romantico, onorato persino da una citazione di Goethe. I palazzi faentini, sin qui poco o niente considerati perché sconosciuti, hanno subito gravi ingiurie dalla guerra; ed è solo a patto di enormi sforzi contro l’incomprensione da ogni lato che a malapena si son potute medicare alcune delle loro maggiori ferite. Uno dei più importanti fra essi, il palazzo già Laderchi, ora proprietà comunale, versa ancora nel più deplorevole stato. Alcune bombe d’aeroplano devastarono nel 1944 una zona che comprendeva due palazzi adiacenti: l’uno già Spada ora Rossi, opera di colui che si potrebbe chiamare l’architetto del Giani, Giuseppe Pistocchi, e costruito circa il 1780; l’altro, ora Ghetti, di un allievo del Pistocchi, Pietro Tomba, circa il 1830. Le bombe distrussero completamente l’avancorpo di quest’ultimo; sventrarono l’adiacente lasciandone tuttavia in piedi la bella facciata e altre parti, ma rispettarono fortunatamente i prospetti sui cortili, bellissimi, e una gioiosa Rotonda da giardino sul tergo, isolata in un orto. Inutile insistere a spiegare che si trattava di resti assai importanti che chiunque dotato del minimo gusto e buonsenso si sarebbe premurato di rispettare se non altro per ragioni di decoro cittadino e di riguardo all’intelligenza e alla civiltà. Il piano di ricostruzione della città, compilato nel 1946, non prevedeva alterazioni nello stato momentaneo di quei resti, dei quali perciò si poteva sperare una intelligente sistemazione. Ma improvvisamente una “modifica” al piano, inventata dal comune per tracciare una nuova via, affacciò il proposito di distruggere totalmente i preziosi ed eleganti resti per sostituirvi i soliti palazzi d’affitto. Il progetto inventato lì per lì, per ragioni rimaste oscure, era tuttavia così superficiale e sciatto che una energica campagna polemica sulla stampa locale completata da un voto degli Amici dell’Arte, facilmente ha indotto gli amministratori a redigere una “seconda modifica”. Essa insiste nel prevedere la distruzione assolutamente inutile del prospetto Ghetti, una cosa elegantissima, ma riconosce la conservazione di quello del Pistocchi nonché della Rotonda. E’ da sapere però che nel frattempo, per speciosi motivi, e con gran furia, sono stati atterrati la facciata e i resti contigui del palazzo già Spada. Da questo massacro, esso pure inutile, poteva almeno derivare l’utile urbanistico di isolare i due prospetti superstiti e la Rotonda entro un largo di verde, adatto anche alla sosta di autoveicoli, che avrebbe costituito una impagabile zona di silenzio per un vicino costruendo palazzo di scuole. Ma contrariamente ad ogni aspettativa e ad ogni assennato consiglio, l’attergato già Spada si vuole, nella seconda modifica, di nuovo occultare ricostruendovi davanti il corpo prima inconsultamente distrutto e che si sarebbe potuto adattare, a patto di un intelligente studio anche in senso utilitario; ma, guaio peggiore, resta sempre il puntiglio di volere distruggere qualcos’altro. In questo caso il prospetto Ghetti, col risultato di ottenere un piano stradale ridicolo per la sua irrazionalità. La colpa di tutti questi danni risiede nella estrema superficialità con la quale il programma è stato impostato, e nella carenza assoluta di un assennato consiglio da parte di persone competenti in materia artistica, cui fosse dato di studiare a fondo tutte le possibilità di intervento in una materia tanto delicata. E’ da aggiungere che il pieno benestare da parte della Direzione Generale delle Belle Arti è stato già ottenuto, e non si sa perché per eseguire la demolizione, avvenuta, della facciata Spada-Rossi: si osa sperare che non arrivi anche il secondo e più grave che significhebbe l’attuazione di un vero e proprio macello edilizio e un trionfo dell’ignoranza sul buonsenso.
Abbiamo notizia da Faenza che, contrarie le Belle Arti, malgrado i vincoli della Sovrintendenza, il Consiglio Comunale di questa città (benchè queste deliberazioni non siano di sua competenza) su richiesta del Dr. Alberto Buda, che non fa parte del Consiglio Comunale, ha accettato il progetto che prevede la demolizione della Rotonda Rossi. La Rotonda Rossi è un’importantissima costruzione neoclassica a pianta circolare fondamentale per la storia dell’arte del Neoclassicismo nell’Italia del Nord. Essa si erge davanti alla Chiesa di S.Domenico, nel vecchio rione Rosso a Faenza. Ci consta che la Direzione Generale delle Belle Arti, essendone stata informata, esige che si rispetti il vincolo. Ma corrono sempre più insistentemente voci che l’insigne edificio sarà ben presto sacrificato e l’area sfruttata a scopo speculativo. (Italia Nostra, Anno II, gennaio-febbraio 1958).
Sin dal 1952, quando a Faenza si cominciò a discorrere del nuovo piano regolatore e si apprese che alcuni edifici neoclassici danneggiati dalla guerra correvano il rischio di venire abbattuti, l’ispettore onorario alle Antichità e Belle Arti della zona, Antonio Corbara, suggerì alla competente Soprintendenza di tutelarli al più presto. Ma, nonostante l’insistenza del Corbara e di altri assennati faentini, quella Soprintendenza fece orecchio da mercante. Non si preoccupò di proteggerli nemmeno quando apprese che un ente pubblico, avendoli acquistati, stava brigando per ottenere il permesso di demolirli. Quindi, ancora poche settimane fa, il consigliere comunale democristiano Alberto Buda, una faentino di adozione, si è potuto permettere di presentare (23 luglio 1958) all’assemblea comunale di Faenza un ordine del giorno, col quale “auspicava” che “fosse tolto di mezzo lo sconcio della Torretta Rossi e del relativo sottopassaggio”, poiché “in nessun modo potevano aspirare a divenire monumento nazionale”. Per fortuna, in quell’Assemblea, vi fu chi incitò i colleghi a non votare tale ordine del giorno “per dignità”, e quindi lo stesso presentatore si affrettò a ritirarlo. Quella torretta, che non è affatto una torretta bensì una rotonda neoclassica, è stata, insieme coi prospetti interni dei palazzi Rossi Ghetti, apprezzata per “eleganza” di linea dal professor Mario Praz (vedi: Il Tempo, 25 maggio 1952), che nell’arte neoclassica ha intelligenza sottile. Egli, nel suggerirne la retta conservazione, non trascurò di osservare che, purtroppo, trattandosi di architetture “antiche di poco più di un secolo”, la Direzione generale per le Antichità e Belle Arti “poco se ne sarebbe interessata”. Infatti, quella Direzione generale mai s’interessò ad esse. Ma non già perché si trattava di architetture antiche di poco più di un secolo, o perché i suoi funzionari stessero in villeggiatura, chè in questo caso della rotonda faentina, la loro villeggiatura durerebbe da oltre sei anni. E non si dia ascolto a quegli ingenui che possono supporre che la mancata tutela della medievale torre di Colusco e delle neoclassiche architetture di Faenza sarebbe dovuta a pressioni politiche o al desiderio di favorire interessi di privati. La mancata tutela, a nostro avviso, è dovuta al solo motivo che nell’Amministrazione per le antichità e Belle Arti vi sono troppi funzionari che non vogliono o non sanno compiere il proprio dovere. E’ un grossolano errore sostenere che l’origine dei misfatti che offendono l’Italia artistica è dovuta a deficienze della vigente legge di tutela. La legge c’è: sono i funzionari incaricati di applicarla che non fanno il loro dovere.
Il sottoscritto chiede d’interrogare il ministro della pubblica istruzione, per conoscere se l’amministrazione per le antichità e belle arti ritiene opportuno tutelare a Faenza i prospetti dal lato del giardino dei Palazzi Rossi e la loro rotonda neoclassica, risparmiati dai bombordamenti. Dal 1952 l’ispettore onorario alle antichità e belle arti della zona, dottor Antonio Corbara, si batte, insieme ad altri faentini amanti del decoro della loro città, per ottenere la protezione di questi edifici a norma di quanto prescrive la legge di tutela del patrimonio storico e artistico. Su questi edifici incombe da anni il pericolo di tempestiva demolizione. Ancora poche settimane fa, e precisamente durante la seduta del consiglio comunale di Faenza del 22 luglio 1958, venne presentato (consigliere democristiano Alberto Buda) un ordine del giorno che auspicava alla distruzione della rotonda neoclassica definendola “uno sconcio”. Tuttavia, lo stesso consigliere comunale che tale ordine del giorno aveva presentato fu costretto a ritirarlo tempestivamente, poiché l’assemblea venne invitata a non votarlo “per dignità”.
Per far capire come si svolga la tutela dell’Italia artistica voglio citare un modesto episodio, relativo a due prospetti di storici palazzi e a una rotonda neoclassica che in Faenza furono risparmiati dalla guerra in una zona che pure ne era stata offesa. Questi prospetti e questa rotonda neoclassica non pochi bravi faentini, con alla testa l’ispettore onorario alle belle arti di quella città Antonio Corbara, si preoccuparono di difendere da chi voleva abbatterli, invocando la tutela a norma di legge. Nel 1958, quando un consigliere comunale propose nuovamente di abbattere e quei prospetti e quella rotonda suscitando proteste dell’intero consiglio, presentai al ministro della Pubblica Istruzione onorevole Moro una interrogazione per chiedergli se l’amministrazione dell’antichità e delle arti intendeva decidersi a tutelare a norma di legge quegli edifici. Il 29 novembre 1958 il ministro mi rispose, avvertendomi che i prospetti di quei palazzi e la rotonda neoclassica sarebbero stati “senz’altro conservati”, a tale fine tendendo “le iniziative prese fin dal 1952 dalla competente soprintendenza, la quale ha vigilato e vigilerà affinchè gli anzidetti manufatti non siano demoliti”. Il che significa che in ben sei anni quella soprintendenza si è limitata a vegliare, invece di non imporre la tutela a norma di legge. E’ chiaro che il giorno che un qualcuno riesca far addormentare la vegliante soprintendenza quei manufatti potranno essere rasi al suolo e, privi come sono della tutela a norma di legge, ci si potrà concedere la sola soddisfazione di protestare, così come soltanto proteste hanno intaccato le palazzine, le ville e le villette che si sono costruite sulla via Appia Antica.

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