sabato, Luglio 27, 2024
Faenza nella storia - I capitoli

Faenza nella Storia _ Cap. 3.3 Rapido sguardo riassuntivo del diretto governo papale dal trattato di Chateau-Cambrésis alla venuta di Napoleone Bonaparte in Italia (1559-1796)

Cap 3.3. Rapido sguardo riassuntivo del diretto governo papale del trattato di Château-Cambrésis alla venuta di Napoleone Bonaparte in Italia (1559-1796)

Con il trattato di Château-Cambrésis, che poneva fine alla lunga lotta tra casa d’Austria e casa di Francia, incomincia l’età nella quale l’Italia, compressa dalla duplice dominazione politica e morale della Spagna e del Papato, va lentamente affievolendo la coscienza dell’esser suo. E’ l’età del fasto esteriore che ricuopre e vela superbamente il marcio delle miserie interne; dell’asservimento del pensiero alla reazione cattolica, che racchiude, più che lo schietto e puro ideale cristiano, la trepida superstizione degli umili. Di tale decadenza fu sopra tutto indice lo stato ecclesiastico, dove il papato finì co’ l deviare, a poco a poco, dal concetto religioso che gli aveva rifatto le forze, in un concetto sempre più personale e quasi esclusivamente mondano e principesco, che avrà bensì nella Roma monumentale del Seicento la sua grandiosa espressione, ma dischiudewrà poi alla Chiesa altre lotte nelle quali essa dovrà accasciarsi sotto il peso del proprio barocchismo.
La vita civile della nostra città trascorre d’ora in poi uniforme e monotona e quasi senza alcun valore politico; e noi ci contenteremo per ciò di sintetizzarla a grandi linee.
Faenza aveva allora un circuito di più di due miglia, ed il suo territorio estendevasi per la via Emilia circa sette miglia, comprendendo essa nella propria giurisdizione civile i castelli di Russi, Granarolo ed Oriolo. Aveva numerose chiese, due abbazie, una Commenda, il priorato di s. Perpetua, tredici fraterie, diciassette confraternite, molti conventi di monache, sette ospitali religiosi, un ricco Monte di Pietà, e dopo il Concilio di Trento, ebbe anche un seminario per l’istruzione ed educazione dei chierici, instituito nel 1576; si divideva ne’ soliti quattro quartieri di porta del Ponte, porta Ravegnana o Ravenna, porta Imolese e porta Montanara, e comprendeva in tutto, entro le mura, parrocchie ventotto, senza contare le due che appartenevano al borgo d’Urbecco.
Che le condizioni dello spirito pubblico in Faenza, fossero in piena armonia con quelle generali d’Italia, e dello stato della Chiesa in special modo, dimostrano ad ogni piè sospinto e croniche e documenti. Tutte le forme della vita s’indirizzano verso un che di sforzato, di violento e di ampolloso; una spiccata caratteristica di magniloquenza s’insinua lentamente nella religione; nell’arte, nelle lettere, nella moda; il fanatismo più intollerante domina sovrano ed inspira il governo. Ad ogni novello pontefice la città invia le solite ambascerie pompose, a manifestare i propri omaggi ed a ricevere le consuete grazie (e del neo-eletto Pio IV ottenne nel 1560 la facoltà di eleggere il pretore o potestà non più forestiero, ma faentino); non vi è nuovo legato della provincia che, quando viene a visitar Faenza, non sia ricevuto con festse ed onori; e non si abbia il consueto e ricco regalo (al cardinal legato Alessandro Sforza si regala nel 1570 un crocifisso d’argento del valore di novanta scudi d’oro; al nuovo preside di Romagna, Filippo Sega, Faenza offre nel 1573 due magnifiche tazze d’argento; al predetto Sforza nel 1580 è dato un gran ricevimento, e presentato in dono uno splendido vaso con bacino pure d’argento; onori grandissimi sono decretati nel ’91 al cardinal legato Francesco Sforza, etc. etc.); non vi è nuovo vescovo che non sia accolto con manifestazioni di gioia, e luminarie e spari e musiche, mentre le campane suonano allegramente e distesa, e tutto il popolo devotamente accorre a riceverne la benedizione.

1562

Così, per esempio, morto Teodoro Pio, il novello vescovo Giovanni Battista Sighicelli bolognese, eletto dal pontefice per sollecitazione del cardinale Rodolfo Pio, (che s’era riservata l’amministrazione perpetua della Chiesa faentina, e il diritto di regresso in essa sede episcopale) fece la sua entrata in Faenza sotto un ricchissimo baldacchino, il 4 ottobre 1562, solennemente ricevuto dalla magistratura e dal clero; e consimili onori ebbero il vescovo Annibale Grassi nel ’75,il vescovo card. Francesco di s. Giorgio o Sangiorgi nel 1603, e il vescovo card. Erminio de’ Valenti nel 1605.
Eppure papa Pio IV mostrò di non tenere in gran conto le proteste di devozione de’ suoi fedelissimi sudditi di Faenza; chè appunto nel ’62 gli entrò in capo la strana idea di concedere in perpetuo il reggimento della città al card. Pier Francesco Ferrerio, inviandone il breve relativo, per mezzo dell’illustre Carlo Borromeo, in allora cardinal legato della provincia, ai magistrati faentini; ma questi e il Consiglio generale risolsero, al dire del Tonduzzi «di fare ogni possibile resistenza, desiderando tutti vivere e morire sudditi immediatamente di S. Chiesa, e non d’altro prencipe»; onde, inviati ambasciatori al papa e al card. Borromeo, tanto dissero e fecero che il Ferrerio non ebbe mai l’ambito governo della città. La quale, d’altro canto, trovossi in quegli anni in contrasto co’ terrazzani di Russi, che volevano sottrarsi alla giurisdizione faentina, e se ne appellarono al Borromeo; questi vi elesse nel ’61 a commissario il faentino Rodolfo Castellani, ma vani riuscirono i nuovi tentativi dell’irrequieta Russi nel ’64 e nel ’66.

1566

In quest’ultimo anno era eletto papa Pio V (Ghislieri), il quale si compiacque di spiegare il maggiore zelo nel purgar l’Italia dalle eresie. Già in Faenza, per obbedire ad un breve di papa Paolo IV, che ordinava dovessero gli ebrei portare un berretto giallo, e le loro donne un nastro di ugual colore al collo, e dovessero tutti abitare in una stessa strada, il Consiglio generale aveva decretato fin dal 29 decembre 1555 che gli ebrei fossero separati dal consorzio de’ cristiani.

1567

Ora poi, nel 1567, per estirpare l’eresia luterana dalla città, fu instituito in Faenza il tribunale della Santa Inquisizione per la Romagna; ed il primo inquisitor generale, frate Angelo Gazzini da Lugo, coadiuvato dal vicario vescovile e protonotario Alessandro Casali, faentino, creò un vero e proprio governo del terrore, rendendosi arbitro delle famiglie, de’ loro beni, delle magistrature, e facendo incarcerare centinaia di cittadini, de’ quali non pochi furono mandati al supplizio, alcuni furono murati vivi, altri condannati alla galera a vita od a tempo determinato, tanto che (dice la memoria di un contemporaneo anonimo) «tremavano perfin le pietre della città». Furono colpiti così da condanne anche i due noti pittori faentini Giacomo Bertucci e Giovanni Battista suo nipote, per aver tenuto libri luterani, per aver dubitato dell’intercessione dei santi, dell’esistenza del purgatorio, del suffragio delle preghiere, del sacramento della confessione ..; e scamparono al capestro ed al rogo soltanto sconfessando sé stessi e abiurando solennemente.

1569

Un Enea Utili fu condannato alla prigine ed alla morte, un Lodovico Missiroli fu arso, una madonna Camilla, già moglie di messer Ragnolo, fu impiccata ed arsa il 23 agosto 1569.

1570

Molti anche del Consiglio generale e dei Cento Pacifici furono incarcerati, e «ancor che innocenti (dice la testimonianza del contemporaneo Alessandro di Biagio Grazioli) Sua Santià volle che fossero per sempre privati dall’ufficio», ed il card. Sforza, legato di Bologna, ne bandì, adunque, nel gennaio 1570 dal Consiglio e dai Cento Pacifici ben trentadue.

1577

Intanto le condizioni sociali non potrebbero essere peggiori: carestie, pestilenze, scorrerie di briganti e facinorosi, turpi scandali di frati e monache (per i quali nel 1577 dovettero le autorità municipali ed ecclesiastiche fare serie provvisioni), liti giudiziarie tra il vicario vescovile Paffi e il Capitolo dal 1564 al ’68, scomuniche reciproche tra il vescovo Giovanni Antonio Grassi e il preposto Paffi (iuniore) nel ’95, ci danno un quadro doloroso e triste della nostra città in que’ tempi.
La fame s’affacci alle sue porte, sinistramente, nel ’63; un contagioso morbo scoppia nel ’64, si rinnova nell’800, e si ripeterà d’ora in poi, purtroppo, periodicamente.

1589

Nel 1589, essendo enormemente cresciuto (per la gran penuria del raccolto del pane) il numero dei mendicanti, il Consiglio provvede a che siano essi riuniti in un medesimo luogo, ed alla meglio sostentati; l’anno di poi la penuria aumenta, i mendicanti si moltiplicano e cadono sfiniti o morti per le vie, ed allora si pongono guardie alle porte della città per impedire l’entrata ai poveri del contado; nel ’92 s’impone ai cittadini più facoltosi una colletta «pro alimentatione pauperum mendicantium civitatis, in hoc miserabili ac penurioso anno»; e nel 1608, poi, il Consiglio darà facoltà agli Anziani di dispensare fino a duecento scudi di elemosine, «in questi tempi calamitosi».

1590

E con la carestia ecco nel 1590-91 una diffusione di febbri petecchiali, che fece strage di cittadini, ed uccise ben quarantadue consiglieri del Comune, onde il Consiglio, considerando che, per riempire i seggi vacanti si sarebbe dovuto ricorrere, per la deficienza di persone adatte, a gente d’umile condizione, otteneva dal cardinale legato Francesco Sforza che, nonostante la disposizione degli Statuti, l’assemblea potesse continuare a sedere e a deliberare, sebbene così decimata. Ma nel ’92 lo Sforza stimò necessario provvedere finalmente alla nomina dei quarantadue consiglieri mancanti, onde, nella seduta consigliare del 27 maggio, si procedette alla formazione di una lista di eleggebili, da approvarsi dal legato, e in tale occasione si enumerarono le qualità richieste delle persone da scegliersi, e cioè: «Sia quello che pretenderà luogo in consiglio nativo ed habbia abitato 20 anni nella città. Non abbia fatto arte vile secondo l’uso del luogo. Sia legittimo. Habbia per 10 anni nella città havuta casa ed estimo di stabili non minor di due milla scudi. Non patisca eccesione d’infamia. Sia maggiore di 25 anni. E morendo un consigliero, nella ballottatione del successore sia preferito il parente trasversale al discendente».
I banditi, frattanto, i malfattori, i facinorosi affliggono le campagne con omicidi e saccheggi, ed il legato cardinal Alessandro Sforza provvede nel 1580 alla loro dispersione con quattro compagnie di archibugieri a cavallo; nel maggio dell’86, il legato di quel tempo, card. Giulio Canani, ferrarese, avendo udito che cinquanta briganti avean liberato dalle carceri in Imola tre condannati a morte, corre a Faenza, fa sonare le campane a stormo, e la città si leva, commossa in armi; poi, con stolto consiglio il Canani concede un salvacondotto al capo di que’ banditi, affinchè con i suoi ne perseguitasse altri; ma riuscì vano il pensiero, e si moltiplicarono i mali tanto che il papa dovette mandare il commissario apostolico mons. Giov. Batt. Marchesani, e questi con milizie di Faenza, Imola, Brisighella e Solarolo sconfisse e disperse a Bagnara quei malviventi.. Manell’87 e nell’88 si rinnova il danno e la vergogna; e a tanto di audacia si pervenne, che, nella notte dell’8 gennaio 1590, una banda di briganti, guidata da un Girolamo Stradelli, che voleva vendicare un suo fratello giustiziato, penetrò in città, assalì il palazzo pubblico, ne atterrò le porte, giunse perfino ad entrare nella camera del governatore Pamphili, che a stento potè salvarsi, ricoverandosi nelle carceri. Ben otto persone furono uccise in quell’assalto; e percosso dall’enormità di tali fatti, inviò il pontefice, quale legato di Romagna, il card. Antonio Maria Gallo da Osimo co’l suo auditore criminale Traiano Gallo, «huomo fiero e crudele» dice il Tonduzzi, il quale impose subito al Consiglio lo sborso di 2.000 scudi per il mantenimento di 1.000 uomini, ad estirpare la mala pianta del brigantaggio. Cotal somma fu dopo ridotta dal legato a 1.000 scudi, con l’obbligo, però, agli Anziani di vegliare severamente sulla custodia d’ogni cosa, città, palazzo, ufficiali, carcerati. Poi, l’auditore criminale instruì un rigoroso processo per iscuoprire gli autori, complici e favoreggiatori del su detto delitto; e non potendo metter le mani addosso ai veri colpevoli, si sfogò contro un lavorante maiolicaro, Pietro Scardassini, accusato per vendetta da una sua amante; e costui, sottoposto alla tortura, confessò colpe non commesse, accusando altri innocenti, tra cui la famiglia di una tal nobile vedova Biancini. Tutti, imprigionati e torturati, confessarono ciò che gli aguzzini loro imposero, tranne madonna Biancini, ferma sempre nella sua protesta d’innocenza; ma le proteste non valsero, e gl’infelici furono tutti condannati a morte, e ciò è lo Scardassini, ed un colono della signora alla forca, sulla pubblica piazza, e la dame, le donne e il figlio giovinetto di lei ad aver mozzo il capo, di notte, nel cortile del palazzo: il tutto senza dar luogo a difesa di giureconsulti, pronti a dimostrare la insussistenza dell’accusa. I cadaveri dei giustiziati furono poi esposti, sur una stuoia, nella piazza, al popolo inorridito, segnacolo della ferocia stolta d’un governo impotente.

1591

Nonostante tali sfoghi brutali e vani, infatti, i briganti continuano a scorazzare allegramente nelle campagne, si fortificano nelle rocche di Montemaggiore e di Rontana, da loro occupate; ed invano il Consiglio generale del 15 febbraio 1591, preoccupato dai furti, dagl’incendi, dagli omicidi «qui in dies in dictis sceleribus crescunt», arma una speciale compagnia di 150 soldati, sotto il comando di tre caporali. La città allora, desolatissima, spedisce un ambasciatore al pontefice Gregorio XIV (fu messer Gregorio Zuccoli, il cronista), ad esporgli il miserrimo stato suo; ed il papa manda in Romagna l’energico cardinal legato Francesco Sforza, il quale s’accorda co’l duca di Ferrara, ottiene da lui 600 fanti e 400 cavalieri, sotto gli ordini del capitano Enea Montecuccoli, e questi riesce finalmente a purgar la campagna da tal peste. Ma non per questo torna la quiete e il benessere, chè ne’ Consigli generali è frequentissima la lettura, assai significativa, delle bolle pontificie di Pio V, Sisto V, Gregorio XIII e XIV «contra homicidas», mentre la fame e la peste aggiungono di nuovo i loro flagelli contro la povera popolazione.

1595

Di tanti malanni fu causa non ultima il non infrequente passaggio per Faenza di milizie straniere o papali, accompagnato talvolta da agitazioni, risse e tumulti. Nel giugno 1595 ecco un esercito pontificio, diretto in Pannonia contro il Turco, a chiedere pericolosa ospitalità; nel gennaio del ’96 tale esercito, reduce dalla guerra, ripassa da Faenza, ed alla città tocca a provvedere all’addobbo del palazzo, per ricevervi il card. Giovanni Francesco Aldobrandini, generale in capo, all’alloggio ed al vitto de’ soldati, alla cura degli infermi.

1597

E sopra tutto memorabile, poi, fu la radunata in Faenza dell’esercito pontificio che, agli ordini del card. Aldobrandini, suo nipote, papa Clemente VIII allestì per «l’impresa di Ferrara», nel novembre del 1597, quando, essendo morto il duca Alfonso II d’Este, ei volle escludere dalla successione del feudo papale di Ferrara don Cesare d’Este, nipote di Alfonso I per discendenza illegittima, ed avocare a sé il dominio di quella città. Il precitato Zuccoli, cronista contemporaneo, narra a questo proposito: «Gli Uomini di Faenza, desiderosi di servire in tanto suo bisogno al papa, et al cardinale, accettarono cinque compagnie, una di cento cavalli archibugieri, e quattro di fanteria, tutta buona gente in ordine di panni, d’armi e di cavalli. I capitani furono il cav. Pompeo Dal Pane, che aveva la compagnia de’ cavalli, il cap. Orazio Rondanino, il cap. Valerio Maradi, il Cap. Carlo Naldi e il cap. Malatesta Cavina, i quali erano capi della fanteria. Il cmapo si ragunava in Faenza, ch’era il luogo della massa; quivi si conducevano armi, artiglierie, polveri e palle; quivi si rassegnavano i soldati e si alloggiavano. L’ultimo offitiale che si rassegnasse o pubblicasse fu il luogotenente generale di tutto la cavalleria; la causa del indugio fu perchè avendo il cardinale destinato il luogo al cap. Giovan Battista Severoli, il quale era a Milano alla servitù del re di Spagna, con provisione di settanta scudi il mese, fu necessario procurarli dal vice-duca la licenza, e mandare uomini a condurlo; e perchè era bandito dalla provincia di Romagna, fu liberato da tutti li bandi favoritissimamente, e rimesso e fatto luogotenente della cavalleria. Nella città fu alloggiata tutta la massa dell’esercito comodamente, che passava alle volte 12000 persone, dove furono abondantissimamente sovvenuti di tutti li bisogni e vitovaglie, et ogni cosa passò con ordine e senza alcun rumore de’ soldati». E l’altro cronista Azzurrini, che era allora notaro della Camera apostolica, fu, per decreto del cardinal legato Ottavio Bandini, deputato a rogare il giuramento de’ capitani e offiziali dell’esercito, il nome dei quali, insieme co’l rogito relativo, egli ci ha lasciato trascritto nel suo Liber Rubeus.

1598

E’ noto, poi, che il 27 decembre del ’97 avvenne in Faenza il convegno tra Lucrezia d’Este, sorella del defunto Alfonso II, ed il card. Aldobrandini, e che fu conclusa da essi, il 12 gennaio 1598, la Convenzione faentina (cfr. Ballardini pp. 33 e segg.), per la quale don Cesare d’Este era prosciolto dalla scomunica, ma rinunziava a Ferrara e attinenze, con Cento ed altri luoghi, conservando però i suoi propri beni allodiali. Così la guerra finiva prima d’essere incominciata.
Eppure a tutto il quadro di sofferenze che abbiamo tracciato offre uno strano contrasto la spensieratezza del buon popolo, che si contenta e si appaga delle sue feste religiose, fatte sempre con pompa solenne e con grande apparato, alle quali si accompagnavano talvolta, come a quelle di s. Novellone, divertimenti popolari, e giostre, e palio, e cuccagne; Nè minor contrasto alle miserie di quell’epoca offre l’ingenuo entusiasmo della folla per il fasto o lo sperpero dei suo padroni, i quali, a malgrado delle straordinarie imposizioni di tasse e dei donativi speciali, che erano spesso costretti a fare all’erario pontificio, riducevano sì le spese del Comune, e magari sopprimevano gli stipendi (come avvenne nel 1592 e nel 1601), ma sontuosamente ospitavano e servivano, a costo di far nuovi debiti, tutti i principi e cospicui personaggi che passassero per Faenza. Il passaggio de’ principi è quasi un aggravio periodico delle finanze comunali, ed una preoccupazione continua del magistrato della città, il quale manda loro incontro ambasciatori, fa addobbare il palazzo, prepara gli alloggi per il «seguito», delega varie deputazioni di cittadini per tutte le necessarie occorrenze. Così, su’ primordi del ’73 passa Alfonso d’Este di Ferrara, che va ad ossequiare il nuovo pontefica Gregorio XIII; l’anno dopo ecco Filippo Buoncompagni, nipote di tal papa, che va cardinal legato a Venezia; nel marzo 1580 giunge Margherita d’Austria, duchessa di Parma (moglie di Ottavio Farnese); nel settembre dell’85 ecco Francesco Maria II Della Rovere, duca d’Urbino, che va a Bologna a ricevervi le insegne del Toson d’Oro; nel maggio 1591 arriva Ercole Sfondrati, nipote di papa Gregorio XIV, e generale di s. Chiesa, designato al comando delle milizie pontificie mandate contro gli Ugonotti in Francia, ed è con lui il capitano Vincenzo Naldi con 200 fanti; nel giugno del ’99 è ospitata l’archiduchessa d’Austria, madre della regina di Spagna; nel decembre dello stesso anno passa il serenissimo duca di Parma; il 7 maggio del 1600 il Consiglio generale fa gli opportuni provvedimenti «de adventu serenissimae ducissae Parmae, nepotis sanctissimi domini nostri» (papa Clemente VIII); nell’aprile del 1608 si eleggono due gentiluomini a preparare il palazzo per i principi di Savoia, e poiché mancano i denari, si delibera prendere 500 scudi dall’ufficio dell’Abbondanza (era questo un ufficio, importantissimo in que’ tempi di carestie, che provvedeva di frumento la città, con amministrazione autonoma e cassa propria, ed ogni proprietario era obbligato a vendere ogni anno all’Abbondanza il trenta per cento del suo raccolto di grano); nel settembre dell’anno stesso si ha un gran ricevimento, con addobbi, corteo, etc., in occasione del passaggio dell’arciduchessa Maddalena d’Austria, che andava sposa a Cosimo de’ Medici, primogenito del granduca di Toscana, Ferdinando I.
Ma le feste maggiori furono fatte quando, nell’ottobre del 1598, passò per Faenza il pontefice Clemente VIII, di ritorno da Ferrara, ov’era stato a coglier gli allori del suo recente acquisto di quella città. Allora che il papa, senza passar per Faenza, avea fatto nell’aprile il viaggio alla volta di Ferrara, gli Anziani gli avevano inviato un memoriale per esporgli le miserrime condizioni della città e della Romagna, affinchè la Santità Sua si muovesse a pietà; eppure nell’occasione della visita di esso papa, durante il viaggio di ritorno il Consiglio stanzia 6000 lire per le spese necessarie, scialacqua allegramente in pazze prodigalità, fa preparativi veramente straordinari. E mentre in que’ tempi (anni 1557, ’59, ’60, ’95) si pubblicano ancora o si riformano leggi suntuarie contor la pompa degli abiti, si delibera ora, invece, che gli Anziani si vestano, per la solennissima occasione, «con robboni di seta violacea», scendenti «usque ad crura»; si mandano ambasciatori a Bologna ad invitare «nostro signore»; si creano varie deputazioni di gentiluomini che provvedano ai restauri, alle pitture ed agli addobbi del palazzo e delle strade, agli alloggi della famiglia e della Corte pontificia, dei cardinali e delle milizie, alla cucina per allestire il banchetto, etc. etc. E finalmente, preceduto il dì innanzi dalla lunghissima e solenne processione del sacramento, entra in città il 2 decembre, con ricchissimo corteo, il papa, e passa sotto i monumentali ed artistici archi di trionfo, appositamente eretti, tra le acclamazioni e l’esultanza della folla, gli spari delle artiglierie, l’allegro suono delle campane.
Ed è questo il tempo, in cui i magnifici signori Anziani si sentono gravemente offesi nel loro decoro per il fatto che, mentre assistono ufficialmente, nella cattedrale, alle sacre funzioni, si veggono incensati, in segno d’onore, dopo i signori canonici; donde una seria questione di precedenza tra il Magistrato e il Capitolo, a risolvere la quale invano si adotta il puerile partito di adoperar de chierici e due turriboli, e far la incensazione degli Anziani e de’ Canonici contemporaneamente.

1599

Invano, dico, perchè la Congragazione dei Riti vieta ricorrere a tale espediente contrario al cerimoniale; e la questione allora risorge, e gli Anziani si astengono dall’intervenire alle funzioni religiose, con grande scandalo de’ fedeli, e il 2 giugno 1599 se ne discute nel Consiglio generale, dove ben undici consiglieri pronunziano orazioni e filippiche, fincè si decide scriverne al cardinal Francesco Sforza, qual protettore della città.

1600

Così la controversia riprende la via di Roma, donde viene finalmente il responso, che il priore degli Anziani comunica con evidente mortificazione al Consiglio il 21 decembre 1600, pe’ l quale responso «magistratus coactus fuit acquiescere determinationibus superiorum».

1605

Tali erano la società e i tempi all’entrare del secolo XVII; e quando giunse in Faenza la notizia della morte di papa Clemente VIII (3 marzo 1605), gli Anziani e i Sedici aggiunti per lo straordinario governo, durante la sede vacante, ordinarono guardie giorno e notte alle porte della città e del palazzo pubblico, proibirono ai cittadini di recare armi indosso, mandarono militi alla custodia delle rocche di Russi, Oriolo, Granarolo, ordinarono ai Cento Pacifici di vigilare armati; eppure il 23 marzo mons. Marino Marini, auditore del prolegato per la Romagna, scriveva agli Anziani «esser dispiaciuto infinitamente a monsignor illustrissimo vicelegato che, in questa sede vacante, in breve tempo, siano stati commessi duoi homicidii, et di più, che peggio è, che in questa città siano racccettati banditi et facinorosi huomini a malo effecto …»
In quello stesso anno, moriva, il 19 luglio anche il vescovo di Faenza card. Gian Francesco di S.Giorgio, conte di Blandrate (al Sighicelli che ricordammo a pag. 254 succedette il 23 luglio del 1575 il bolognese Annibale Grassi, che instituì il Seminario faentino nel ’76, e che ai 18 marzo dell’85 rinunciò al vescovado, in favore del nipote Gian Antonio, al quale tenne dietro nel 1602 il predetto card. di s. Giorgio); ed era elevato allora alla cattedra episcopale faentina, il 3 agosto, il card. Erminio Valenti.

1606

Poche notizie si hanno d’ra in poi delle vicende civili dellanostra città. Il primo febbraio 16060 un breve vescovile approvava l’elezione di una cattedra di giurisprudenza, giusta il legato testamentario di un’Orazia Valirani; ed il «lettore» primo di tale cattedra (che dovea essere eletto dagli Anziani, dai conservatori del Monte di Pietà e da sei personaggi tra i più cospicui di faenza) fu il dott. Antonio Viarani. Già, inoltre, fino al 1588 (essendo decadute e scomparse quelle prime scuole gesuitiche che vedemmo nel 1547) nella seduta consigliare del 30 decembre si erano delegati quattro gentiluomini a studiare il modo di far tornare in faenza i Gesuiti, ma senza effetto.

1612

Nell’anno 1612, poi, chiamativi dal faentino Alessandro Pasi, che ad essi legava la propria eredità, i gesuiti istituirono in faenza il loro convento con le relative scuole, le quali, sussidiate dal Comune, divennero sempre più frequentate e fiorenti. In quel medesimo anno si fondava a Faenza anche la famosa accademia letteraria dei Filiponi (amanti della fatica), apertasi con solennità il 25 marzo dell’anno in poi.

1618

Al vescovo Valenti, morto il 22 agosto 1618, succedeva il primo ottobre il bolognese Giulio Monterenzi, il quale, spedito a Ferrara come vicelegato, vi uscì di vita il 23 maggio 1623.

1623

Allora Gregorio XV (succeduto nel ’21 a papa Paolo V) gli elesse a successore il card. Marc’Antonio Gozzadino, bolognese; ma essendo questi morto il primo settembre, prima della consacrazione, il novello pontefice Urbano VIII (Barberini) elevò alla cattedra episcopale faentina Francesco di Curzio Cennini.

1625

Per il trattato di Madrid del 4 febbraio 1623, la Valtellina (nella quale la lotta tra protestanti e cattolici avea dato luogo ad una guerra d’importanza europea) era stata data in consegna al pontefice; ed Urbano VIII, a proseguir nell’impresa, gravò di tasse, secondo il solito, i suoi sudditi, de’ quali i Faentini furono costretti nel 1625, sebbene tre anni prima avessero sofferto di una nuova carestia, ad una offerta spontanea di 6000 scudi; e a nuove spese andarono soggetti nel medesimo anno per il passaggio di Leopoldo, arciduca d’Austria, in pellegrinaggio per Roma, e di Ferdinado II di Toscana nel 1627.

1629

Nel ’29 scoppiò una pestilenza quasi generale in Italia; e nella nostra città si fecero i provvedimenti igienici necessari, eleggendo una commissione di otto cittadini contro il contagio, e deputando quattro medici al servizio de’ poveri. Ma il popolo confidò assai di più, con devozione accresciuta in proporzione della paura, nel miracoloso intervento di s. Maria delle Grazie alla quale si dedicarono processioni, funzioni, preghiere, voti, supplicandosi persino il vescovo, che s’era rifugiato in campagna, ad inviare un predicatore, il quale incoraggiasse ls moltitudine de’ fedeli e invocasse su di essa le celesti benedizioni. Il pontefice, più avveduto, mandò un commissario apostolico per la Marca, le Romagne e il ducato di Ferrara (Gaspare Mattei) il quale provvedesse e vigilasse su l’igiene.

1631

Costui, presa stanza in faenza, per farsi meglio ascoltare non parlava che d’impiccare, e spesso lo faceva; ed il fatto è che Faenza, mercè sua, arrestò il progresso del morbo, onde il 18 maggio del 1631 fu celebrato un solenne rendimento di grazie, e fu fatta la coronazione della miracolosa immagine su detta, presenti il Magistrato, il Capitolo, il commissario.

1639

All’anno 1639 assegna, poi, il cronista Tosetti certe discordie civili tra fazioni di nobili, capitanate l’una dai Naldi, l’altra dai Calderoni, Severoli, Dal Pane, Prittelli, Bonaccorsi etc.; se no nche, per gli ordini di concordia venuti dal card. Barberini, nipote del papa, cotali fazioni fecero compromesso nel vescovo. Ma quando la mattina del 21 settembre, una delle parti contendenti usciva dal convegno stabilito nel palazzo vescovile, alcuni degli avversari, sbucati fuori all’improvviso, le furono addosso con colpi di archibugio, uccidendone alcuni: onde ne nacque aspra zuffa, la città fu tutta in grande scompiglio, e ci volle un commissario speciale mandato dal papa con pieni poteri per ristabilire l’ordine, sottoporre i faziosi a processo, e cacciarne i complici in bando perpetuo. Ed a questi mali si aggiunse l’anno dopo, una terribile piena del Lamone e del marzeno che allagarono le campagne, rovinarono case e produssero danni gravissimi.

1641

Nel 1641 Urbano VIII iniziò, come tutti sanno, contro Odoardo Farnese, duca di Parma, una guerra per il ducato di Castro; e resistendo il Farnese, ordinò a Taddeo Barberini, generale delle milizie ecclesiastiche, di togliergli anche Parma e Piacenza. Ma Odoardo con 3000 cavalli marciò verso Bologna, Imola e Castelbolognese, e giunse presso Faenza la mattina del 16 settembre 1642. La città rifiutò di accogliere, per timore dell’ira papale, le milizie di lui, e dopo lungo discutere accettò lui stesso con poca scorta dentro le mura, mentre il grosso de’ suoi soldati, passando al di fuori, saccheggiava e rubava. Il Farnese da Forlì passò in Toscana, donde si avviò verso Castro a riprenderne la signoria; e la guerra finì poi nel 1644 sotto il novello papa Innocenzo X (Pamphili), il quale riunì definitivamente Castro e Ronciglione al patrimonio della Chiesa.

1643

Frattanto il vescovo Cennini rinunziava alla cattedra su’l principio del ’43, e il 4 marzo di tale anno gli succedeva il nobile ferrarese Carlo Rossetti, scienziato ed umanista, già ministro apostolico presso la regina d’Inghilterra Elisabetta Maria di Francia nel 1639, arcivescovo di Tarso e nunzio a Colonia, dove assistette la vedova regina di Francia Maria de’ Medici, colà andata in fin di vita.

1648

Fu il Rossetti, nel 1648, legato a latere nel congresso di Vestfalia, in cui fu conchiusa la famosa pace che poneva fine alla grandiosa guerra dei trenta anni.

1649

Mirabili, poi, furono le pietose cure di lui in Faenza, quando, nel successivo anno 1649, scoppiò una nuova carestia, per la quale fu stabilito di accogliere i poveri nelle case dei sacerdoti, dei monaci, dei nobili, degli agiati cittadini.

1653

E come se tante sventure non bastassero ancora, ecco nell’agosto del ’53 de’ violenti terremoti, che seminarono spavento e ruina.

1655

Al pontefice Urbano VIII, morto nel ’44, era successo papa Innocenzo X, ed a questo seguì, il 7 aprile 1655, Alessandro VII (Chigi); nel quale anno, e precisamente il giorno 30 novembre, giungeva a Faenza l’ex-regina di Svezia Cristina, figlia di Gustavo Adolfo, che, dopo avere abdicato al trono ed abiurate le dottrine luterane, era venuta a visitare liberamente l’Italia, e s’avviava alla volta di Roma. Fu ella solennemente ricevuta dal cardinale vescovo, dal governatore, dal fiore della nobiltà faentina, tra le feste pompose e gli spari delle artiglierie.

1656

Ma coteste ufficiali allegrezze ebbero il loro triste contrapposto l’anno in poi, quando, al recare del cronista Tosetti, gravi fatti di sangue, dovuti a private contese, conturbavano la città ed il Borgo d’Urbecco, mentre lo spettro di una nuova pestilenza, che infieriva nell’Italia meridionale, induceva il Consiglio ad energici provvedimenti, simili a quelli del 1629-30.

1657

Nel 1657, con l’aiuto del vescovo, si composero, finalmente, le discordie fra i nobili, che già vedemmo nel ’39: e da certi atti notarili di ser Cristoforo Mondini appare che il granduca di Toscana, amico dei conti Naldi, avea scritto fino dal ’43 a Balasso Naldi, per indurlo a pacificarsi con la fazione opposta, e che le cortesi instanze furono rinnovate nel ’56, e vi si aggiunsero quelle di altri principi; onde si venne alla lieta conclusione, che abbiamo detto.

1664

Sorta, poi, una contesa tra papa Alessandro VII e il gran re di Francia Luigi XIV, per certi oltraggi di alcune milizie côrse all’ambasciatore francese in Roma, duca di Créqui, il re francese, cacciato il nunzio pontificio, inviò in Italia un esercito a vendicare le insolenze della corte romana. Il papa, allora, si preparò a contendergli il passo, fornendo le città romagnole di soldati côrsi, mentre esse, su i primi del 1664, gli offrivano i loro donativi in danaro. Faenza ebbe a mandargli così 2500 scudi, ed altri 1258 ne spese in servigio di tali soldatesche: ma il papa dovette poi placare le ire del re Sole, licenziando i Côrsi.

1667

Gli successe nel ’67 Clemente XI (Rospigliosi), dal quale il vescovo Rosetti ottenne il glorioso permesso ai canonici di portare la cappa magna ornata di ermellino, come era costume nelle grandi basiliche!

1670

Due anni di poi Clemente IX moriva, per il dolore, dicono, della resa di Candia ai Turchi, e gli succedeva, il 29 aprile 1670, Clemente X (Altieri).

1671

E qui ricominciano le sciagure della città: già un terremoto nel ’61 aveva fatto cadere molti comignoli e danneggiata la cattedrale.

1672

Ora nel 1672, e precisamente il 14 aprile, un altro terremoto diè luogo a fughe dalla città, processioni espiatorie, digiuni; e nel medesimo anno un furioso incendio distruggeva, il 16 ottobre, l’edificio del filatoio della seta, posto presso il mulino detto della Ganga, insieme con gli arnesi e gran quantità di filati per il vaore di 4000 scudi; onde il Comune dovette venire in soccorso de’ poveri lavoratori, affrancandoli dalle tasse e sovvenendoli con sussidi. La fabbrica, poi, si rinnovò mirabilmente.

1675-78

Una nuova industria, del resto, veniva introdotta nella nostra città dal bolognese Giov. Antonio Passerini, nel 1675, con l’instituzione dell’opificio della cartiera, che ebbe, poi, vanto non poco in Romagna. Nell’anno stesso, ad impedire la frode nella vendita delle biade e dei grani, il muicipio poneva, su la piazza della Molinella (cortile dell’antico palazzo Manfredi) una pubblica pesa; e nel ’76 era posto un orologio nuovo su la torre, recentemente costruita, della piazza (di tal torre parleremo a suo luogo, trattando dell’edilizia e de’ monumenti, nella seconda parte di questo libro, cui si aggiunse nel ’78 una campana che sonasse i quarti.

1681

Il 22 novembre 1681 moriva il vescovo card. Rossetti (era stato egli l’8 gennaio dell’80 promosso alla sede di Frascati, ma avea voluto continuare a reggere, con titolo di presule, la Chiesa faentina) e gli succedeva, il 14 gennaio dell’82, sulla cattedra faentina il celebre card. Antonio Pignatelli, già vicelegato in Urbino, poi nunzio in Polonia ed a Vienna, vescovo di Lecce sotto Clemente X etc.: il quale, inviato nell’ottobre del 1864 alla legazione di Bologna, tra le festose de’ buoni faentini, fu nel marzo dell’86 promosso alla sede arcivescovile di Napoli, e poi come ognun sa, morti i pontefici Innocenzo XI nell’89 ed Alessandro VIII nel ’91, fu elevato al soglio pontificio ed assunse il nome di Innocenzo XII.

1687

In Faenza (dove il vescovado fu, per la partenza del Pignatelli, retto dapprima dall’arcidiacono Giulio Cesare Affricano Severoli, come vicario, e poi dal novello presule card. Gian Francesco Negrone, che fu eletto il 17 luglio dell’87) la notizia della elezione del Pignatelli a pontefice fu accolta con grandissima esultanza, e lo stemma del papa novello fu, a titolo di onore, dipinto su la loggia del palazzo.

1690

Frattanto il vescovo Negrone era ben presto eletto legato di Bologna, ma ciò non gli tolse la severa cura della sua diocesi, dappoichè fece, nel ’90, ricostruire le carceri ecclesiastiche per i sacerdoti indegni e per le pecorelle smarrite; e mentre il vescovo Rossetti aveva ordinato che nelle chiese le donne sedessero divise dagli uomini, il Negrone volle che, per maggior sicurezza, fosse tra l’uno e l’altor sesso distesa una gran tenda, preservatrice degli sguardi distratti e indiscreti, nella quaresima del ’92.

1697

Rinunziò costui al vescovado nel 1697, e si stabilì a Roma, dove ebbe una commenda dal titolo presbiterale di s. maria in Aracoeli, e dove avea comprato il palazzo e le ville del card. Peretti-Montalto.

1699

Fu eletto, allora, nuovo vescovo, l’11 novembre, il card. Marcello Durazzo, genovese, già nunzio in Portogallo ed in Ispagna, e poi legato a Bologna; e faenza lo ricevette con i soliti onori, con le solite feste e con le solite spese, le quali si rinnovarono nel 1699, quando passò da faenza (11 marzo) Maria Casimira, vedova di Giovanni Sobiesky, re di Polonia, insieme co’l padre suo, card. Enirco De la Grange, onorevolmente accolta dal conte Dionigi Naldi. Ed un’altra principessa di casa Sobiesky visitò Faenza, poi, nel 1706, essendo ospite del marchese Muzio Spada: e fu dessa Teresa Cunegonda, moglie di Massimiliano, elettore di Baviera, seguita dalla cognata Violante, sorella di Massimiliano e moglie di Ferdinando de’ Medici, e da molti cavalieri e dame, tra cui, meravigliosa per intelligenza e cultura, un’indiana.

1700

Morto nel 1700 Carlo II, re di Spagna, e successogli su quel trono il duca di Angiò, Filippo, secondogenito del delfino di francia, scoppiò la terribile guerra di successione spagnuola, che arte e desolò l’Europa. Gli eserciti dell’Austria (che s’era unita con l’Inghilterra, l’Olanda, la Prussia, l’elettore di Annover contro i Borboni di Francia e Spagna) contrastarono alle milizie francesi nell’Italia del nord; ed allora il novello pontefice Clemente XI provvide alla difesa de’ suoi stati, e si ebbe il primo aprile 1701 una sfilata di milizie papali in Faenza. In quel medesimo anno scoppiava nella città un tumulto popolare, a causa dell’essere scemato «nello scandaglio del pane», il peso di quello; del che fu fatta colpa all’amministratore panettiere dell’annona frumentaria Francesco Maria Rampi, accusato di dolo, la cui casa fu assalita dalla moltitudine infuriata. Ne seguirono processi e condanne, alle quali si sottrasero i rei, dandosi alla fuga.

1706

Dopo la celebre battaglia di Torino, vinta il 7 settmbre 1706 dal principe Eugenio di Savoia, a capo degli Austriaci, e dal duca Vittorio Amedeo II, a capo de’ Piemontesi, contro i Francesi del duca d’Orléans, un esercito austriaco occupò il Napoletano; e circa 6000 Alemanni passarono, adunque, il 21 maggio 1707 per Faenza; nella quale occasione il vescovo permise a gentildonne e donzelle di ricoverarsi ne’ conventi, a sfuggire la militare licenza di costoro. Il 27 aprile dell’anno appresso, poi, tornando dall’impresa di Napoli, giunsero 2000 cavalieri tedeschi, traendosi dietro 1800 prigionieri, tra cui lo stesso viceré duca d’Ascalona, tutti avviati alle carceri della rocca di Pizzighettone. Intanto, per antiche pretese su certi feudi imperiali in Italia, l’imperatore Giuseppe I d’Austria raccoglieva nel maggio milizie in quel di Ferrara; né valendo le rimostranza e i lagni del papa, questi ordinò la raccolta di un grosso esercito di 20000 uomini, e piazza d’armi du faenza, dove si riunirono le milizie della Marca e di Romagna, e si innalzarono parapetti su le mura, e si fornirono le soldatesche di tutto il necessario, con grave danno del Comune, il quale supplicò il pontefice di liberarlo da tanti pesi. Furono perfino dal governo papale imposte gabelle straordinarie, richiamati i banditi e i contrabbandieri, e con essi formato un corpo franco; ma poi che gli Austriaci ebebr preso Bondeno, bloccata Ferrara, e, agli ordini del general Daun, si furono avanzati su Bologna, i pontefici si ritirarono, e il Daun giunse il 16 novembre a Faenza, donde si condusse a Iesi, lasciando nella nostra città poche milizie imperiali.

1709

Dal Napoletano altri milizie tedesche s’avanzarono ai confini con gli stati papali; ma ben presto si venne ad accordi (15 gennaio 1709), per i quali l’imperatore si obbligava a sgomberare dai luoghi occupati, e il pontefice a ritirare le milizie proprie; onde ne venne una nuova sfilata di reggimenti per Faenza, con danni e noie, finchè il 13 marzo gli Austriaci non ebbero del tutto lasciato la città, dopo tre mesi di triste soggiorno.

1710

il 9 aprile del 1710 moriva il vescovo Durazzo, lasciando generose beneficenze alla città ed alla Chiesa; e gli successe Giulio Piazza de’ conti di Ricetto, già nunzio a Bruxelles, a Lucerna, a Colonia, arcivescovo di Rodi e di Nazaret, legato alla corte di Vienna; il quale, dopo la coronazione in Francoforte del fratello e successore di Giuseppe I, l’imperatore Carlo VI (22 decembre 1711), rimase nunzio apostolico in Vienna, ottenne per i suoi meriti l’onore della porpora cardinalizia, e venne alla sua sede vescovile soltanto il 16 luglio 1714, accolto da fuochi e luminarie.

1714

Riferiscono i cronisti di una certa sollevazione del popolo contro il governatore, il 27 luglio di quell’anno stesso, per avere costui fatti imprigionare i deputati alla corsa dei cavalli in onore di s. Novellone, perchè «non vollero o pretesero giusto di non fermarsi alla vista del governatore, essendo essi investiti d’autorità dai magistrati»; onde ne venne «gran sussurro per la città e tra i gentiluomini della parentela di quei signori».

1717

Il 15 marzo del ‘ 17, poi, passava per Faenza, Giacomo III Stuart, che, respinto dal suo regno, viaggiava sotto nome di cavaliere di s. Giorgio, e fu ospite del conte Gaspare Ferniani; il qual Giacomo fu di nuovo a Faenza il 29 giugno 1728, insieme co’l figliuoletto Carlo Edoardo, ed ospite questa volta di Marc’Antonio Laderchi, ed assistette allo spettacolo in musica dell’opera Arsace, nel teatro degli accademici Remoti.

1718

La politica aggressiva del ministro spagnuolo card. Alberoni aveva, frattanto, suscitate nuove guerre europee, e tolto a Vittorio Amedeo di Savoia il novellamente acquistato dominio di Sicilia; e formatasi perciò la quadruplice alleanza tra francia, Olanda, Inghilterra ed Impero, co’l trattato di Londra (8 agosto 1718), la Sicilia fu ceduta all’imperatore (e Vittorio Amedeo ebbe, poi, in cambio la Sardegna); onde passarono per Faenza dal 14 agosto al 12 novembre molti reggimenti alemanni, diretti ad impossessarsi dell’isola. E le finanze del Comune dovettero per tutto ciò essere molto stremate, se nella seduta consigliare dle 26 dicembre fu stbailito che nessuno potesse d’allora in poi essere eletto consigliere, ove non sborsasse scudi 60, né potesse far parte della nobiltà senza il pagamento di egual somma. Nella seduta, poi, del 19 maggio 1723, attesa la scarsità de’ giuristi che sedevano trai consiglieri, fu stabilito che l’ufficio di potestà o pretore si desse per concorso a qualunque persona cittadina o forestiera, e dovesse l’ufficio aver la durata di tre anni.

1726-1729

Al vescovo Piazza, morto il 23 aprile 1726, succedette Tommaso Cervioni da Montalcino, generale dell’ordine degli Eremitani di s. Agostino; e due anni dopo fu promosso all’arcivescovado di Lucca, subentrandogli in faenza Niccolò Maria Lomellino (7 febbraio 1729). Ma le pompe esteriori dei ricevimenti e delle esultanze per i nuovi vescovi, i nuovi papi, i principi ospiti, mal riescono a nascondere le miserie e la nequizie de’ tempi, rivelata anche da non infrequenti fatti di sangue. Già il 4 decembre 1706 uno Scipione Naldi, per rancori domestici, aveva ucciso un Raimondo Sinibaldi, suo cognato; e il 19 giugno del 1711 era stato assassinato l’abate Gian Battista Cariali, forse per intrighi ed eccitamento di preti, da certo Alessandro Tonducci, il quale riuscì poi ad andar prosciolto dall’accusa.

1730

Ora, poi, il 19 agosto 1730, siccome narra il cronista Carlo Zanelli, un Andrea Azzurrini (l’ultimo di cotal famiglia) fu ucciso con due colpi di pistola da Alfonso, figlio del capitano Antonio Naldi, «e questo fu perchè costui (L’Azzurrini) pretendeva sposare una sorella del Naldi, che si trovava nel monastero di s. Maglorio, ad onta e dispetto di lui e suoi fratelli».

1734

Infine il 24 ottobre del ‘ 34, per una misera contesa famigliare, il chirurgo Federico Bentivogliio di Montefeltro era ucciso dal figlio, il quale, perchè catturato dagli sbirri su’l sacrato della chiesa de’ Minori Riformati, ove aveva cercato rifugio, fu dai giudici rimandato libero, in virtù del diritto d’asilo. Triste esempio della giustizia di tempi obbrobriosi!

1736

Frattanto le vicende della guerra di successione polacca avevano condotto don Carlos di Borbone, duca di Parma e Piacenza, ad impadronirsi del regno delle Due Sicilie; onde la nostra città fu nel 1736 spettatrice non lieta di frequenti passaggi di soldati spagnuoli, che di colà ritornavano, o di milizie austriache che si ritiravano dall’aver tentato invano la riconquista di quel reame. E tra i nuovi ricevimenti (della principessa Maria Amalia Valpurga di Sassonia, sposa del re Carlo III delle due Sicilie, nel giugno del ’38; di un principe assiro che sfuggiva la persecuzione del Sultano; nel ’41; del re di Sardegna Carlo Emanuele III che, scoppiata la guerra di successione austriaca, passò da Faenza, il 3 agosto del ’42, con 20.000 uomini, per respingere un esercito spagnuolo che veniva dal Napoletano) trascorrono ancora anni dolorosi, ne’ quali le campagne sono battute da milizie straniere, e il timore e l’angustia de’ cittadini si manifestano con tridui e preghiere e processioni. Nè basta, chè nel 1744 di nuovo gli Austriaci allietano della loro presenza la città, e questa deve pagare grosse somme di contribuzione al loro mantenimento; e l’anno dopo ecco ancora le milizie spagnuole e napoletane, che entrano il 6 aprile da porta del Ponte, mentre gli ultimi Austriaci escono da Porta Imolese.

1743

Al vescovo Lomellino era successo, frattanto il novello presule Antonio Cantoni da Faenza, eletto da papa Benedetto XIV (Lambertini), ed entrato festosamente in città il 7 febbraio del ’43.

1745

Aveva il Cantoni, nel 1745, ideata la costruzione di un ampio spedale per gl’infermi, che derivasse dalla riunione dei due ospedali di s. Anna abata e del beato Novellone; e perciò nel ’47 s’era discusso nel Consiglio generale il disegno della demolizione della rocca di Porta Imolese, per far luogo al novello edifizio. Le lunghe pratiche furono condotte a termine nel 1753, e il 27 marzo di quell’anno s’incominciò l’atterramento della detta rocca, vetusto baluardo di memorie e di glorie.
Dal 1748 in poi, ossia dalla conclusione del celebre trattato d’Acquisgrana, che poneva fine alla grandiosa guerra di successione austriaca, e che iniziava per l’Italia un periodo di tranquillità, scorre più o meno pigra la vita faentina, tutta concentrata ormai nei secolari privilegi del clero e de’ nobili, nelle sciagure e nella superstizione del popolo, e su la quale vigila da Roma quella commissione suprema, composta di membri scelti da ciascuna provincia, che fu solennemente chiaamata (oh ironia de’ nomi!) Congregazione del Buon Governo.

1750-1755

Un’accademia faentina detta degli Atenofili, fondata da Niccolò Tosetti (al dire del cronista Peroni) il 24 febbraio del 1750, e la instituzione di una cattedra di diritto canonico, per legato di un tal Francesco Nonni nel ’55, sono (insieme con la construzione di monumenti e d’opere d’arte, di cui diremo a suo luogo) le sole manifestazioni di intellettuale operosità; la escavazione e construzione del Canal Naviglio, per iniziative ed a spese di Scipione Zanelli, a fine di congiungere Faenza co’l Po di Primaro e con l’Adriatico (che potè dirsi compiuta nel 1784) fu opera veramente proficua all’incremento del commercio; ma in tutto il resto continua lo squallore e il silenzio della vita civile.

1765-1796

Un’epidemia di febbri, per cui si ammalarono più di 3000 cittadini ed una carestia nel 1765; la successione del novello vescovo Vitale Giuseppe de’ Buoi al Cantoni, elevato alla cattedra arcivescovile di Ravenna nel ’67; l’arrivo di ben 400 Gesuiti in malo arnese, rifugiantisi in faenza nel ’68 dalla procella delle riforme spagnuole di re Carlo III; un tumulto popolare per il timore dell’aumento di prezzo della farina, che finisce con la cattura de’ ribelli e con l’applicazione di non pochi tratti di corda (27 giugno 1772), presente una moltitudine inorridita, la quale invano chiede grazia con alte grida; l’imposizione di nuove tasse su gli stracci e su i venditori di commestibili e di ortaggi nel ’77; l’accrescimento di tre quarti del dazio su’l pesce nel ’78; e violenti terremoti nel ’68 e nell’81, a scongiurare i quali la folla si raccoglie in duomo e nelle altre chiese, in un delirio di preghiere, e si abbandona a tutto che il culto superstizioso inspira (funzioni, processioni, voti, digiuni, etc.); il passaggio per la città di papa Pio VI, il 7 marzo dell’82, che recavasi a Vienna «pellegrino apostolico», per implorare dall’imperatore Giuseppe II la revoca delle riforme ecclesiastiche, ed il ritorno di esso papa a faenza il 29 maggio, ospite di Scipione Zanelli (in tale occasione visitò i lavori del Canal Naviglio, passando di sotto un arco innalzato su gli avanzi di un torrioncello, al posto del quale fu poi da Scipione Zanelli construita una nuova porta della città, detta Porta Pia); la morte del vescovo De’ Buoi nell’87, e la successione dell’anconitano Domenico de’ marchesi Manciforte, ex-gesuita e canonico penitenziere; l’elevazione del prezzo della farina e conseguentemente del pane nel ’93, dovendo l’annona frumentaria provvedere non solo al grano occorrente per la popolazione, ma anche per le milizie pontificie, che avean da giungere nel ’94 a difendere lo stato pontificio dall’ancor lontano esercito dela novella repubblica francese ….; ecco i fatti notevoli di quello scorcio di secolo neghittoso e triste, su’l quale un alito di vita nuova ed un fremito dinuove aspirazioni dovevano far correre, nel 1796, le armi francesi del «Bonaparte liberatore».

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